Ho il mio credo, una famiglia, molti amici. Ma, ragionando con la mia testa, forse dovrei scrivere che vivo a modo mio il credo, ho una famiglia che non rispecchia i canoni, e amici di qualsiasi sfumatura e colore concesso sulla terra.
Mi arrogo il diritto di dire la mia. E credo fermamente nelle energie del mondo. Soprattutto, ho smesso da un pezzo di credere alle parole, perchè alla fine ciò che fa girare il mondo sono i fatti.I miei amici sono delle persone coraggiose. Nessuno di loro è schiavo di un pensiero, ma lo ha rielaborato in modo continuo per giungere ad un’identità. Tra i miei amici c’è Luca, che “vorrebbe danzare al tempo delle sue contraddizioni, cantar sul baratro delle sue ovvietà, nuotare nudo tra le più grandi frustrazioni e ridere di tutto ciò che è stato e che sarà”. C’è Giuditta, una bellissima valchiria che ora è pure diventata direttore artistico di un importante teatro italiano. Nella borsa porta il libro “L’aggressività femminile” – da lei vivamente consigliato a tutte le donne – e uno scopino per spazzare tutti i cuori che infrange. E poi c’è Fulvia che ha avuto un’incursione dalla finanza che solo a raccontarla ci verrebbe fuori un libro. Pensavano fosse un hacker. Le hanno trovato in casa un computer del 2002 e tre cd perchè Fulvia, il massimo che fa con il computer è accedere a Facebook.
I miei amici sono variopinti. Sono testardi. E amano assaporare la vita.Da giovedì però, tra i miei amici non c’è più Oscar, un uomo sulla quarantina che conosco da diversi mesi. Lo incontro per caso e decidiamo di bere un caffè insieme. Mi racconta del suo lavoro, di quanto sia orgoglioso dei risultati raggiunti in questo anno difficile.
“Bello!” dico. E lo penso davvero.
“E a voi come va?”
“Bene – rispondo – anche se ci sono dei giorni in cui vorrei che Devid avesse qualcuno che lo aiutasse nella composizione degli album”.
“Beh – fa lui – prendi un ragazzo. Lo fai lavorare, gli insegni un mestiere e lo paghi pochissimo. L’ideale”.
Ho appoggiato la tazzina del caffè. Ho detto la mia. E in dieci minuti ho chiuso un’amicizia.
Posso? Bisogna proprio essere poveri mentalmente per pensare che un Paese possa reggersi sullo sfruttamento giovanile. I giovani sono il futuro e sono il terreno su cui costruire le professioni del domani. Ma si sa. Se tu un terreno non lo nutri, non ti darà frutti.
Scusate il tono, ma che cazzo vuol dire non pagare i giovani? Chiedere loro stage gratuiti nelle grandi aziende, di cui l’amministratore delegato porta a casa un patrimonio ogni mese?
“Non ci sono i soldi. Non c’è budget”
Io dico che i soldi ci sono, solo che non sono equamente distribuiti.
Lo Stato non permette le assunzioni. Vero. Ma passare dalle assunzioni al lavoro gratuito o mal retribuito mi sembra, onestamente, eccessivo. Conosco una ragazza a cui hanno offerto un lavoro per 300 euro al mese. Otto ore di lavoro al giorno. A Milano.
Che proposta è?
In realtà, coloro che promuovono lo sfruttamento giovanile, ignorano, probabilmente, che se vuoi ottenere il massimo da un lavoratore, devi gratificarlo. E non perchè hai bisogno di “lisciarlo”. Ma perchè qualsiasi essere umano, quando viene riconosciuto, diventa bello. E la Bellezza dà frutti impagabili.
Io vorrei che i giovani iniziassero a dire no. No, non lavorerò gratis per te. No, non sarà avere la tua voce nel curriculum che mi aiuterà ad essere una persona migliore. Ma soprattutto: no, non mi stai facendo un favore insegnandomi una professione. Il punto è che ci stiamo aiutando a vicenda, perchè con le mie idee e le mie giovani energie PRODUCO, portandoti RICCHEZZA.
Io vorrei che i giovani, quelli bravi s’intende, non quelli che tirano a campare e vorrebbero solo dormire, iniziassero a difendersi con le unghie. Invece di scendere in piazza a manifestare, vorrei che chiedessero, TUTTI, di essere pagati in modo onesto.
Il messaggio deve essere: se non puoi permetterti delle risorse giovanili, non le prendi.
Le vuoi? Le paghi.
Siamo tutti capaci di fare gli imprenditori sulle energie altrui. TUTTI. Ed è un gioco, a mio parere, di basso profilo.
Perchè i giovani, quelli bravi, vanno onorati. Con intelligenza.
Il mio amico l’ho letteralmente mandato a quel paese. E, giusto per trattarlo come lui avrebbe trattato un ragazzo, l’ho lasciato lì senza pagare il conto. Non mi rivolgerà più la parola, è ovvio. E probabilmente cercherà di farmi terra bruciata intorno. Se riuscirà nel suo intento, mi salteranno un sacco di contatti. Ma io sono figlia di uno che si vanta della libertà, e sono nipote di una che rispose ad un uomo importante, negli anni Sessanta, che a lui “preferiva le prostitute” perchè quelle, almeno, giocavano sulla loro pelle.
Difficile essere accomodanti con un dna così.
Dopo sono andata a casa. Ho chiesto a Devid di prendere un giovane che ci aiuti nel lavoro manuale e lui ha accettato. Pagheremo il ragazzo con i buoni lavoro, così avrà compresi i contributi e l’assicurazione. Lo pagheremo, così come da anni paghiamo i giovani fotografi che lavorano ogni tanto per noi.
Le energie del mondo ruotano. E il bello è che a vita vi tratta per come voi la trattate. Forse vale la pena iniziare a dare respiro a quella frase che dice che “la felicità esiste solo se condivisa”.
Partendo dalle nuove generazioni.